ANDREA GRITTI
Andrea Gritti fu il 77° doge della Serenissima (1523-1538).
Aveva 68 anni (era nato a Bardolino sul Garda, presso Verona, nel 1455) ed era procuratore di S. Marco de supra dal 12 aprile 1509.
Apparteneva a una famiglia nuova.
Aveva studiato filosofia a Padova e seguito il nonno in varie missioni diplomatiche all’estero, imparando tra l’altro diverse lingue e appunto il mestiere di diplomatico, che usò quando si trasferì a Costantinopoli, dove, nonostante la guerra tra Venezia e i turchi, diventò ricchissimo commerciando grano. Sorpreso a fornire notizie a Venezia fu considerato una spia e incarcerato. Per un gran colpo di fortuna evitò di essere impalato: il sultano lo usò mandandolo a Venezia per concludere la pace con la Repubblica.
In seguito si mise in luce come provveditore in campo contro la Lega di Cambrai, fu quindi in prima linea nella difesa di Padova, partecipò alla riconquista del Friuli e venne fatto prigioniero a Brescia dai francesi, con i quali usò le sue arti diplomatiche e riuscì ad entrare nelle grazie del re Francesco I, che lo liberò, lo impiegò come consigliere e gli fece tenere a battesimo la figlia.
Durante il suo dogado favorì un deciso intervento architettonico e urbanistico che tendeva a valorizzare e a rinnovare l’immagine estetica e culturale di Venezia: sbarcarono in città artisti diversi come il Sansovino e l’Aretino, e si costruì il primo favoloso Bucintoro, celebrato per il suo splendore ornamentale e le notevoli proporzioni; contro il fenomeno dell’acqua alta furono varati decreti che obbligarono i possessori di fondi ad erigere fondamente in pietra per preservare le rive dall'erosione dell'acqua, mentre la Repubblica provvedeva alla costruzione delle Zattere da S. Basilio a S. Trovaso, sul canale della Giudecca.
Sepolto nella Chiesa di S. Giovanni e Paolo fu spostato nel 1580 nella Chiesa di S. Francesco della Vigna, dove gli eredi gli avevano nel frattempo preparato un mausoleo accanto al suo avo Triadanno. È celebrato nel Panteon Veneto con un busto di Luigi Borro conservato a Palazzo Ducale.
Carriera politica e militare
A quasi cinquant'anni, il Gritti lasciò per sempre le attività mercantili - che lo avevano reso ricchissimo - per intraprendere una folgorante carriera politica. Iniziò sedendo nella commissione incaricata di stabilire il risarcimento nei confronti dei mercanti veneti di Costantinopoli, cui seguirono gli incarichi di consigliere ducale per il sestiere di Castello, di membro della commissione finanziaria aggiunta al Consiglio dei Dieci, di diplomatico presso papa Giulio II (1505-1506) e di capo del Consiglio dei Dieci.
Con il deteriorarsi dei rapporti tra Venezia e l'impero alla vigilia della guerra della Lega di Cambrai (invasione del Cadore del 1508), fu nominato provveditore generale con Giorgio Corner. In questa veste si occupò di ispezionare passi e fortificazioni specialmente in Trentino. Nuovamente nel Consiglio dei Dieci quale savio, il 12 aprile 1509 divenne procuratore di San Marco de supra. Ancora provveditore generale in campo, affiancò Bartolomeo d'Alviano nei sopralluoghi di artiglierie e appostamenti difensivi, raggiunse nel Bresciano Niccolò Orsini con 1500 fanti e condusse altri 2000 uomini a Cremona assediate. Dotato di uno spirito forte e di un fisico vigoroso, riuscì a sopportare la vita militare con notti all'aperto e lunghi spostamenti a cavallo.
Partecipò alla disastrosa battaglia di Agnadello del 14 maggio, da cui riuscì a riparare a Orzinuovi recando la bandiera di San Marco ormai lacera, che verrà esposta nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.
Deciso alla resistenza, il 17 luglio guidò la riconquista di Padova e il 19 del suo castello. Si occupò, nei giorni successivi, della repressione dei cittadini ribelli, con arresti, esecuzioni, confische ed esili. Impedì, tuttavia, che i Veneziani si abbandonassero al saccheggio ed ebbe parole di lode per i contadini volontari che affiancavano l'esercito regolare, per i quali suggerì, in una lettera del 23 luglio, un giusto riconoscimento da parte della Repubblica; il governo rispose con l'esenzione quinquennale delle tasse, l'eliminazione delle pendenze fiscali e la cancellazione dei debiti.
Il 20 agosto iniziò i preparativi per fronteggiare l'assedio imperiale, addossando ai cittadini padovani il pagamenti degli operai (perlopiù di estrazione popolare) impegnati nell'allestimento delle difese. All'inizio di ottobre, tuttavia, Massimiliano d'Asburgo rinunciò all'attacco e quindi il Gritti poté uscire da Padova per occupare Soave, bloccando i Francesi che tentavano di riprenderla.
Dopo questi eventi, durante i quali si era distinto non tanto per le abilità belliche, quanto per il vigore e il carisma esercitato sui soldati e il popolo, chiese di poter rientrare a Venezia. Il 14 gennaio 1510, il governo gli negò il consenso; anzi, con la morte, il 26 gennaio, del capitano generale Niccolò Orsini gli fu proposto di sostituirlo, ma preferì rifiutare.
Le sue aspirazioni erano infatti altre: infatti, quando nel 1511 il doge Leonardo Loredan cadde malato, iniziò a fare pressione sul Consiglio dei Dieci (dove sedevano amici e parenti) perché potessero tessere parole di elogio sui suoi meriti. Il doge, tuttavia, si ristabilì e il Gritti dovette rinunziare per il momento al soglio ducale.
Sul finire del dicembre 1511 fu impegnato lungo l'Isonzo, quindi partecipò all'assedio di Brescia, dove entrò all'inizio del febbraio 1512 alla testa delle truppe, in quanto il comandante Giampaolo Baglioni era ammalato. Dopo questo evento nominò uno dei suoi figli naturali, Lorenzo, contabile della podesteria appena ripristinata.
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